SAN BENEDETTO
Il ricordo di Benedetto da Norcia è affidato al ritratto che di lui ci ha lasciato san Gregorio Magno nel II libro dei suoi “Dialoghi” dedicato totalmente a lui; mentre agli altri santi non dedica che un breve capitolo. Da ciò dobbiamo concludere che San Benedetto è realmente esistito, e che la sua grandezza fu tale da superare tutti i suoi contemporanei.
Benedetto visse in una delle epoche più travagliate della storia d’Italia: quella delle guerre tra Goti e Bizantini che toccano però anche la nostra penisola, fino all’invasione dei Longobardi nel 568. Carestie, massacri, deportazioni; e alla contrapposizione delle razze si aggiungeva quella delle religioni, in quanto il cattolicesimo dei Romani non era condiviso dai barbari, di religione ariana.
La nascita di san Benedetto viene datata intorno all’anno 480. Proveniva, così ci viene detto, “ex provincia Nursiae” – dalla regione della Nursia. I suoi genitori benestanti lo mandarono per la sua formazione negli studi a Roma. Egli però non si fermò a lungo nella Città eterna. Come spiegazione, Gregorio accenna al fatto che il giovane Benedetto era disgustato dallo stile di vita di molti suoi compagni di studi, che vivevano in modo dissoluto, e non voleva cadere negli stessi loro sbagli. Voleva piacere a Dio solo; “soli Deo placere desiderans” (II Dial., Prol 1). Così, ancora prima della conclusione dei suoi studi, Benedetto lasciò Roma e si ritirò nella solitudine dei monti ad est di Roma. Dopo un primo soggiorno nel villaggio di Effide (oggi: Affile), dove per un certo periodo si associò ad una “comunità religiosa” di monaci, si fece eremita nella non lontana Subiaco. Lì visse per tre anni completamente solo in una grotta che, a partire dall’Alto Medioevo, costituisce il “cuore” di un monastero benedettino chiamato “Sacro Speco”. Il periodo in Subiaco, un periodo di solitudine con Dio, fu per Benedetto un tempo di maturazione. Qui doveva sopportare e superare tentazioni fondamentali per ogni essere umano: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta per essere così un creatore di pace intorno a sé. Solo a quel punto decise di fondare i primi suoi monasteri vicino a Subiaco, fondandone dodici costituiti da dodici monaci ciascuno.
Nell’anno 529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino. Si può spiegare questo trasferimento come una fuga davanti agli intrighi di un invidioso ecclesiastico locale; ma si rivela poco convincente, giacché la morte improvvisa di lui non indusse Benedetto a ritornare (II Dial. 8). In realtà, questa decisione gli si impose perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica. Secondo Gregorio Magno questo passaggio ha un carattere simbolico: la vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita. Qui donò ai suoi monaci la Regola, e vi morì, secondo la tradizione, il 21 Marzo dell’anno 547, quaranta giorni dopo la scomparsa di sua sorella Scolastica con la quale ebbe comune sepoltura. I Dialoghi riferiscono che spirò in piedi, con le braccia sollevate in preghiera verso il cielo.
La proclamazione di san Benedetto Patrono d’Europa ad opera di Papa Paolo VI il 24 ottobre 1964 è il riconoscimento autorevole del peso spirituale, sociale, politico e culturale che il santo di Norcia e i suoi discepoli hanno avuto per la costruzione del continente europeo.
LA REGOLA DI BENEDETTO
Gregorio Magno conclude la sua Vita di Benedetto dicendo che ci ha lasciato una Regola che è un capolavoro di discrezione. In effetti tra le tante regole antiche quella di Benedetto si è affermata e diffusa e anche oggi viene accolta nelle nuove fondazioni di diversi luoghi perché è concisa, semplice, essenziale e completa, non eccede in prescrizioni minute e insiste solo sulle linee fondamentali: il primato della preghiera e della ricerca di Dio, l’obbedienza, l’umiltà, il silenzio, la carità fraterna. Ha quindi elasticità e applicabilità ampie. La “discrezione” è l’equilibrio della saggia moderazione e la capacità di coniugare in armonia i diversi aspetti della vita umana: solitudine e comunione, silenzio e parola, preghiera e lavoro, azione e contemplazione, autorità e obbedienza, ascesi e gioia, singolo e comunità, tradizione e creatività… Proprio per questa apertura di orizzonti e questo dinamismo vitale la Regola di Benedetto è attualissima: non stupisce che le nuove fondazioni monastiche la adottino anche in continenti diversi e che ci siano imprenditori oggi che si ispirano al personalismo della Regola per rendere umane le condizioni del lavoro e le relazioni nelle aziende.